L’eleganza del riccio di Muriel Barbery

Ho avuto questo libro sul comodino per tre anni. lo comprai appena divenne un caso editoriale. Ho fatto diversi tentativi ma non sono mai riuscita ad andare oltre la decima pagina. C’era qualcosa di disturbante in quelle prime pagine: mi chiamo Renée. Ho cinquantaquattro anni…sono vedova, bassa, brutta, grassottella, ho i calli ai piedi e, se penso a certe mattine autolesionistiche, l’alito di un mammut. Non ho studiato, sono sempre stata povera, discreta e insignificante. E l’altra protagonista, Paloma: Io ho dodici anni….la gente crede di inseguire le stelle e finisce come un pesce rosso in una boccia. Mi chiedo se non sarebbe più semplice insegnare fin da subito ai bambini che la vita è assurda…per questo ho preso una decisione: alla fine dell’anno scolastico, il giorno dei miei tredici anni, il 16 giugno prossimo, mi suicido.  

Una cara amica recentemente mi ha incoraggiato a riprovarci, ad andare oltre quel disturbo. È stato un grande regalo. E spero lo possa essere anche per voi. L’eleganza del riccio racconta la storia di molti: la difficoltà di mostrarsi per come si è, assumendo uno spirito oppositivo e provocatorio come quello di Paloma; nascondersi per il timore di coprire altre posizioni, per una convinzione più o meno inconscia di non poterselo meritare.

Il disturbo iniziale lascia spazio alla tenerezza, alla semplicità anche come scelta narrativa e stilistica; l’incontro con il giapponese apre ad un crescendo di piacere, desiderio, in cui arrivi a credere nel cambiamento. Alla possibilità che qualcosa possa cambiare. Il finale, un drammatico ritorno alla realtà. Profetiche le parole di Renée: ero destinata alla punizione se solo avessi osato trarre vantaggio dalla mia mente a dispetto della mia classe sociale. In definitiva, poiché non potevo smettere di essere ciò che ero, la mia unica possibilità mi parve quella del segreto: dovevo tacere ciò che ero e non intromettermi mai nell’altro mondo. Un finale che, d’altra parte, spinge la giovane Paloma ad incontrare il mondo. A scegliere la vita: che espone a disperazione, ma anche ad istanti di bellezza.

Il segnalibro, non so se abbia a che fare con il libro…..ma il mio tentativo di descriverlo è stato interrotto da una spinta creativa, quasi urgente, che ha preso questa forma….forse la rappresentazione di ciò che era stato sempre nascosto…..un’ elegante bellezza. Alla prossima…..

 

Un pensiero riguardo “L’eleganza del riccio di Muriel Barbery

  1. Il libro comincia bene, accattivandosi la simpatia del lettore: la protagonista è una portinaia, una donna cioè che ci si aspetta “semplice”: invece è molto coltivata, legge libri anche complessi e ne assimila i contenuti. Solo che invece di esibire le sue passioni e conoscenze, come i più farebbero, le nasconde. Ottimo. Ottima anche l’idea di presentare la protagonista come una donna piena di sensi di colpa, senza che si sappia bene perché. Renée si priva dei piaceri più comuni, di natura sensuale e in particolare in relazione all’altro, all’uomo. Ecco che negli sviluppi della storia qualcosa si muove, che un cambiamento si intravvede. Ma come va a finire? Va a finire che l’autrice non sa portare a compimento la storia ed è incapace di trovare un finale al suo libro. La storia finisce nel modo più banale che ci si possa immaginare e per questo delude il lettore. Renée fa la fine di molti ricci: ma è questo il significato del libro, date le premesse e quanto stava accadendo? O forse Berbery vuole parlarci dell’assurdo alla Camus? Ovviamente no, sarebbe un non senso. Ecco, qui sta la differenza tra un autore di successo e un vero scrittore. Uno vero scrittore farebbe del racconto di Muriel Barbery semplicemente la premessa al suo romanzo, inizierebbe dove la Barbery finisce, avrebbe cioè la capacità di mostrare al lettore che lui, con la sua immaginazione, tenendo conto delle circostanze anche le più difficili, riesce a condurre la protagonista e i personaggi del suo romanzo a un cambiamento, a una trasformazione più sostanziale della loro persona, permettendo alle parti nascoste di venire alla luce scansando i sensi di colpa. Con un risultato estetico di grande bellezza e di profondo significato per il lettore. Il vero scrittore avrebbe la capacità di fare quello che lo psicoanalista cerca di fare insieme al suo paziente attraverso un duro e paziente lavoro: contrastare la pulsione di morte, la ripetitività priva di senso e il senso di colpa sommerso, permettendo al paziente di escogitare i mezzi per trovare una via d’uscita alle forze demoniache che da una vita lo pervadono, per raggiungere, sia pur dopo enormi fatiche e ricadute, uno stile di vita degno dell’essere umano che egli è.

     

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