Per qualche settimana mi sono fermata. Pensavo fosse sconveniente in questo momento scrivervi di libri. C’erano altre notizie, indicazioni, provvedimenti, aggiornamenti che era necessario e primario condividere. Su cui concentrare la nostra attenzione.
Non si è però fermata la mia voglia di leggere, di scoprire, di immaginare, di sognare. Anzi è aumentata. Aumenta giorno dopo giorno e mi aiuta ad affrontare questo momento così difficile. Pupi Avati in una lettera di qualche giorni fa scriveva dell’effetto terapeutico della bellezza. Mi auguro che con questi stimoli di lettura possiate trascorrere qualche minuto piacevole. Leggero.
Veniamo al libro di oggi. L’impossibilità di andare in libreria, i tempi lunghi delle consegne postali mi hanno portato a fare appelli disperati alla mia famiglia: “cerco libri che non ho mai letto!!!”. La zia Paola ha fatto succedere una specie di miracolo: quel libro che da tempo volevo leggere, proprio quello, in un’edizione della Mondadori datata agosto 1977 già solo averlo in mano…il libro è Un amore di Buzzati.
L’occasione è unica. L’inizio del romanzo viene preceduto da cenni biografici e da un’antologia critica che presenta l’opera. Due autori ne hanno colto l’essenza e mi faceva piacere condividerle con voi (anche perché non credo sarà più possibile recuperarne l’edizione!!!). Eugenio Montale scrive: ci troviamo nel cuore del più acceso realismo e psicologismo, nella dissezione quasi anatomica di un sentimento amoroso che molti diranno patologico, ma che in realtà tutti gli uomini che non hanno gli occhi e il cuore foderati da una cotenna di lardo hanno almeno virtualmente provato. Questa spiegazione finale, in una scena che in sé è perfetta, non toglie nulla all’armonia di un libro molto bello (il più bel libro a sfondo erotico che sia uscito dal tempo di Paolo il Caldo di Brancati). Carlo Bo aggiunge: non saprei dire se Buzzati ha scritto il suo libro più bello so però che ci ha dato con Un amore un libro coraggioso, a suo modo una confessione. Di solito, uno scrittore non accetta di scendere direttamente sul campo della battaglia sentimentale, aspetta, da buon calcolatore prende le sue precauzioni e le sue misure. Buzzati ha buttato tutto per aria e ha portato la sua confessione su un terreno che fino a ieri appariva minato e pieno di avvertimenti e di esclusioni. Ecco perché subito ci era sembrato giusto mettere l’accento sul coraggio: un uomo, uno scrittore coraggiosi non si trovano tanto sovente. Buzzati ha avuto il merito di riportare alla luce questa categoria e pagando di persona.
Veniamo al romanzo: è stato scritto alla fine degli anni ’50. La vicenda, ambientata a Milano, vede come protagonista Antonio Dorigo, avvocato di quarantanove anni che non era stato mai capace di instaurare con una donna lo stesso rapporto di confidenza che aveva con gli amici. Per lui “La donna, forse a motivo dell’educazione familiare, gli era parsa sempre una creatura straniera” e con l’altro sesso riesce ad avere rapporti solamente di carattere mercenario. Antonio ha l’abitudine di frequentare la casa di appuntamenti della signora Ermelina. Ed è in quella casa che un pomeriggio di febbraio del 1960, l’uomo conosce la Laide, diminutivo di Adelaide, ragazza minorenne. Ne sarà attratto, da subito. Continuerà a chiedere di lei. Il romanzo descrive quello che si scatena da quell’incontro: ne diviene una vicenda veloce ed angosciosa fra passione e gelosia, rivolta e disperazione. Laide sconvolge la vita dell’architetto Antonio, la misura dei suoi rapporti umani con gli amici, il lavoro e la madre. Antonio fa quello che non aveva mai fatto: gli sembra d’essere ringiovanito ( le corse sull’autostrada, le cene nei fine settimana, i balli nei locali di moda, gli appostamenti, le sorprese), in realtà si rende conto di quanto non sia che la resa, la dipendenza da quella giovane. Che anzi, non perde occasione di umiliarlo, di raccontare bugie. Dorigo pur comprendendo, continua a volerla accanto. Per riempire una vita fino a quel momento vuota e dominata dalla paura della solitudine. E della morte. “Sì l’amore gli aveva fatto completamente dimenticare che esisteva la morte”.
Il romanzo coinvolge chi legge. Fino quasi all’imbarazzo. Per la sincerità, l’intensità con cui vengono descritte le vicende che fanno muovere Dorigo. Provi tenerezza, pena, ma anche tanta rabbia. Perché nonostante si renda conto, rimane in quella vicenda d’amore. Che è amore solo per lui. E lui lo sa. La paga, la mantiene, si fa usare. Si fa umiliare dalla donna. E nonostante tutto, non riesce a prendere una distanza definitiva.
Il romanzo è ambientato a Milano: l’autore riesce a regalarci una rappresentazione di una situazione culturale in cui la realtà milanese è metropoli ma insieme il simbolo della Babele d’ogni tempo, certe sue piazzette, certi suoi grovigli di vicoli, certi angoli secreti. Il tormento interiore di Dorigo, ci avvicina ai conflitti di un uomo maturo attratto dalla giovinezza, ma anche quelli del borghese-milanese colto affascinato da ciò che è popolare. Laide infatti non solo rappresenta il proletariato, ma anche i miti di quegli anni in cui le classi meno colte si gettavano a capofitto (auto veloci, i night club, il consumismo che avanzava) di cui Buzzati-Dorigo avverte tutta l’ energia.
Un intimo amico di Buzzati ha raccontato che prima dell’inizio di Un amore, Buzzati credeva che l’amore fosse facile e formale. Da quel momento, cominciò per lui l’incubo che la donna amata potesse sfuggirgli, mancare agli appuntamenti, addirittura dissolversi. Come la Laide nel libro.
Quando il libro venne pubblicato per Mondadori nel 1963 lo stesso autore ha precisato: Solo alcuni sanno cosa sia l’amore. Se no, ce ne accorgeremmo. Quando arrivano queste cose, uno non può controllarsi, e l’amore si rivela, si manifesta. Non dico che non ce ne siano, di amori, ma sono pochi. Se uno ama una donna, è logico che voglia vincere a tutti i costi, magari mentendosi come fa Antonio Dorigo. E poi, il mio libro finisce in bellezza. Non è calcolato, non è costruito. L’ho scritto con la stessa spontaneità del Deserto dei Tartari. Esprime il mio stato d’animo e la mia esperienza, ma ho un po’ aggravato le tinte. Ma non ho voluto scrivere un libro audace, magari per seguire la corrente. Lo avrei scritto anche se quel genere che ora va di moda fosse morto da un pezzo. E respingo anche l’accusa che si tratti interamente di autobiografia. La protagonista non esiste; ci ho messo solo alcuni tratti della ragazza che io ho amato e ho attribuito a lei tratti d’altre donne. Se è lecito essere un po’ presuntuosi, dirò che c’è tanta autenticità che sinceramente in altri libri non conosco”.
Il segnalibro è evocativo…..
Buona lettura.