La storia di questo romanzo ruota attorno a tre donne, a un abito da sposa, a un cinghiale come animale da compagnia. Inizia con un fiume che straripa e prosegue con un segreto che non riguarda soltanto Agata, la protagonista del romanzo, ma anche la nonna. Come se, inconsapevolmente, qualcosa dell’una sia diventata dell’altra. In una storia che si ripete, molti anni dopo, e che riguarda l’incontro con parti di noi che ci sono sconosciute, finché un incontro….
Agata è fidanzata con Giacomo che la ama in un modo tranquillo e volenteroso, in quella specie di fermezza sentimentale che trapela da ogni suo gesto. Che ha dalla sua una certa stabilità, come quelle sostanze chimiche che difficilmente reagiscono, stabiliscono legami fissi e tendono a non passare inavvertitamente da uno stato all’altro. E quando è promessa sposa, avviene l’incontro con Pietro. Che è passione, che è struggimento e felicità. Che fa sentire sensuale, spregiudicata e coraggiosa.
Pietro e Giacomo. Parti che fanno sentire interi, tutto. Che permettono di sentirsi dappertutto. E che si può avere ogni cosa.
Nel titolo “Senti che vento”, c’è l’essenza del romanzo che non è soltanto una lettura, ma è una vera e propria esperienza. Che coinvolge e fa lavorare tutti i sensi. Grazie alla scrittura di Eleonora Sottili, il lettore è come se percepisse i rumori, gli odori, l’umidità e prova gli stessi brividi, sul corpo, quando la passione tra Agata e Pietro s’infiamma. E le immagini che ci offre, così evocative, ti fanno sentire proprio quello che vuole esprimere. Ce n’è una che mi è rimasta dentro. Racconta della mancanza, con una semplicità e un’ immediatezza che ti lasciano senza fiato.
Ognuno di noi, da allora, cercava soprattutto di sopravvivere. Si trattava di resistere alla sofferenza, una massa scura, senza forma, dentro alla quale rischiavamo di cadere a ogni passo. Sopravvivevamo e facevamo la spesa perché in quei mesi le mancanze sembravano collegarsi tra loro, un bottone in una giacca, il pane, mio padre, il latte in frigo, il mangiare per i gatti, il nonno. Si cercava di rimediare subito e si usciva a comprare quello che non c’era.
Quello che mi rimane del libro, è che in ciascuno di noi c’è la possibilità di attraversare una piazza. Con i tacchi, per chi non li ha mai portati. In diagonale. E scoprire di noi qualcosa che prima non c’era.
Scrivere di qualcuno che si è conosciuto, anche solo per poco, non è semplice. In questo libro, ritrovo tutta la ricchezza e la generosità di chi l’ha scritto. Non si risparmia.